L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Napoli Napoli: un allestimento, un’estate, un ricordo
Continua la rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… e oggi vogliamo regalarvi una piccola chicca facendovi entrare nel backstage della mostra Napoli Napoli. Di lava, porcellana e musica.
Francesca Dal Lago, coordinatrice unica del progetto, ci racconta del cantiere e della lunga realizzazione dell’emozionante mostra.
Alice nel paese delle meraviglie.
Tutti i visitatori che attraversavano l’atrio del primo piano con al centro la grande tazza e la regina pensavano stessimo allestendo una mostra a tema Alice nel paese delle meraviglie.
Si fermavano incuriositi e la guardavano con uno sguardo fra il perplesso e il divertito, chiedendosi come mai in una sala di un museo ci fosse una tazza di quelle dimensioni.
Poi, forse per essere sicuri di essere creduti quando l’avrebbero raccontato, si scattavano una foto a fianco ad essa.
I più spigliati chiedevano ai custodi a cosa stessimo lavorando e, appreso che si trattava di una grande mostra dedicata al Settecento napoletano, promettevano con entusiasmo che sarebbero tornati per l’inaugurazione.
Ogniqualvolta un operaio apriva la porta che dava accesso al cantiere, tutti si affacciavano a guardare e gli si apriva davanti un mondo in costruzione fatto di travi, pareti, luci, stucchi, animali, conchiglie, porcellane, costumi e scarpe, un mondo fatto di tante persone che correvano da una sala all’altra parlando un po’ in italiano, un po’ in francese e naturalmente in napoletano:
Potresti portarmi altri manichini da uomo, devo vestire i soldati!, Est-ceque tu peux venir pour la vitrine des oiseaux?, Dottoré, va buono ccà?.
Già, perché forse voi non lo sapete, ma la mostra Napoli Napoli è stata realizzata da una squadra italo-francese.
Architetto, illuminotecnici, grafici e la maggior parte degli attrezzisti erano francesi, senza dimenticare Marlène, la ragazza che ha dato vita alle espressioni di tutti i volti dei manichini.
Se ad esempio i progettisti dell’impianto di illuminazione erano francesi, gli elettricisti erano invece napoletani.
Quando è arrivato il momento di montare tutti i faretti, i primi davano le indicazioni in francese e i secondi, una volta ricevuta la traduzione, rispondevano in napoletano.
Questo almeno per i primi giorni; poi hanno iniziato a capirsi pur parlando ognuno nella loro lingua:
Peux-tu le mettre un peu plus à droit? Si si, nu’ poco cchiù a destra? Va buono? Parfait!.
In fondo i visitatori avevano ragione, era proprio il paese delle meraviglie.
Ma l’apertura del cantiere è stata solamente l’ultima parte di un lavoro durato ben due anni.
Tutto è iniziato con la stesura dei primi elenchi. Quando si progetta una mostra infatti, per prima cosa si deve decidere quale sarà il soggetto e quali le opere che lo porteranno in scena.
Sono stati scritti elenchi per le porcellane, per le musiche, i costumi, i minerali e gli uccelli tassidermizzati.
È stato sviluppato un progetto architettonico fatto inizialmente di schizzi e bozzetti che poi hanno dato vita a piante e prospetti.
Dopo una lunga ricerca sono stati scelti i manichini e sono stati disegnati i modelli delle scarpe, scegliendo un colore e un modello diverso per ogni abito in mostra.
È stato fatto un progetto illuminotecnico per ogni sala e ogni vetrina ed è stato sviluppato un progetto multimediale per la sala conclusiva della mostra.
Sono state realizzate le parrucche ed è stata elaborata la grafica per testi di sala, didascalie e pubblicità.
Ogni elemento disegnato sul progetto è stato costruito e dipinto, la posizione di ogni manichino è stata modificata più e più volte per trovare quella che comunicasse al meglio il senso di ogni sala.
È stato un lavoro lungo, fatto di entusiasmo e creatività, fatto di ripensamenti e indecisioni.
Dall’apertura del cantiere, nel mese di giugno, sono trascorsi due mesi di duro lavoro prima di vedere realizzato un progetto che per due anni era rimasto solamente un sogno disegnato sulla carta.
Ogni giorno veniva costruito un pezzettino in più: non si può descrivere l’emozione provata nel vedere che quello che per tanto tempo era stato un bozzetto stava diventando realtà.
Ogni giornata di lavoro aveva una sua programmazione: era stato deciso quali strutture dovessero essere completate entro sera, quante vetrine dovessero essere allestite e quanti manichini dovessero essere vestiti.
Come probabilmente vi sarete accorti, i manichini non sono tutti della stessa dimensione.
Con un giorno di anticipo, la sartoria indicava di quanti uomini grandi o uomini piccoli, di quante donne grandi o donne piccole e di quanti bambini avesse bisogno in base alla sala da allestire il giorno successivo e operai e coordinatori ne andavano alla ricerca nelle scatole sistemate nella Sala da ballo.
Un giorno non si riuscivano proprio a trovare le donne piccole.
In sala erano presenti più di trenta scatoloni adagiati uno sull’altro. La speranza era quella di trovarle in una delle scatole poste all’inizio della pila, ma se fosse stato così, sarebbe stato troppo semplice. Naturalmente si erano nascoste nell’ultima scatola in fondo.
Per giorni gli operai hanno continuato a ripetere scherzosamente Dottoré, avete trovato le donne piccole? Oggi cosa dobbiamo cercare, le donne grandi?
Nonostante la fatica e la pressione data da una tabella di marcia incessante si trovava sempre il tempo per una risata.
Probabilmente è troppo difficile descrivere in poche righe la complessità e il lavoro che c’è dietro all’organizzazione di una mostra.
Per farvi un esempio, sapete quante persone lavorano a un testo che voi potete leggere sul muro di una sala?
Almeno quattro: per prima cosa l’architetto deve individuare nell’allestimento la collocazione più giusta per un testo all’interno di una sala, definendo anche lo spazio che occuperà.
A questo punto il grafico, in accordo però con l’architetto, inizia a idearne l’immagine: il carattere da utilizzare per il testo, la dimensione delle lettere, il colore, la presenza o meno di un disegno o di una sagoma da affiancare alle parole.
Definita la dimensione del carattere si stabilisce la lunghezza massima dello scritto, la cui redazione sarà affidata a un gruppo di lavoro che si dedicherà esclusivamente alla scrittura di tutti i testi.
Letti, corretti e approvati, questi ultimi dovranno infine essere stampati e allestiti in mostra.
Ogni dettaglio ha richiesto un complesso lavoro di squadra, senza il quale nulla si sarebbe potuto realizzare.
Dopo due mesi trascorsi insieme, le persone che lavorano a un allestimento diventano una grande famiglia.
Una giornata era fatta di almeno otto ore di lavoro: era una corsa continua da una sala all’altra, da una problematica a un’altra, ma eravamo sempre tutti insieme.
Ci sono state discussioni, incomprensioni, timori, ansie, ma anche tante risate e tanti sorrisi.
Se gli ultimi giorni erano ricchi di soddisfazione per il lavoro svolto, nascondevano però anche un po’ di tristezza.
Foto di Luciano Romano e di Luciano e Marco Pedicini
Forse perché per quanto sia bello tagliare il traguardo, quello che porterai sempre con te è il ricordo del lungo percorso fatto per arrivarci. Perché attraversando ognuna di quelle sale avrai impresso nella mente ogni attimo impiegato per realizzarle.
Ti ricorderai quante volte è stata montata e smontata quella vetrina per riuscire a trovare la collocazione migliore per ogni porcellana; ti ricorderai quante volte è stata cambiata la posizione dei manichini, quanto è stato difficile fissare quel faretto e quanto sforzo è stato fatto per spostare quella statua.
Ti ricorderai quante volte sono state testate le cuffie per trovare quella che potesse restituire al visitatore un’immersione il più completa possibile nella musica e quindi nella mostra.
Non potrai mai dimenticare la prima volta che sei salita su un camion di sedici metri, la prima volta che ti sei caricata in spalla quattro manichini facendotene cadere qualcuno addosso e la prima volta che hai provato a spostare il carrello con appoggiati vasi e porcellane senza riuscire ad andare mai nella direzione voluta e pensando che fosse proprio come il carrello della spesa!
La sera prima dell’inaugurazione c’è stata la prova generale: il Direttore e poche persone che hanno lavorato all’allestimento hanno visitato per la prima volta la mostra.
Le porcellane erano ormai tutte nelle loro vetrine al sicuro, i manichini erano tutti al loro posto, le luci erano puntate e la sala multimediale era pronta ad accendersi.
Tutti hanno indossato le cuffie, hanno premuto play e hanno iniziato la visita proprio dalla sala con la tazza e la regina.
Ora eravamo noi i visitatori e come loro abbiamo iniziato a vedere quella tazza non più come un semplice elemento di allestimento, ma come una magia, una meraviglia.
Abbiamo varcato la soglia della prima sala ed è partito lo Stabat Mater di Pergolesi.
Era tutto vero: qualcuno era commosso, qualcun altro sorrideva, c’era chi ballava e chi addirittura cantava.
La musica ci ha fatto immergere nell’allestimento, nei nostri ricordi.
Abbiamo percorso la mostra visitando tutte le sale, le stesse che avevamo ideato, costruito e visto sbocciare piano piano.
Abbiamo guardato come fosse la prima volta il filmato di Carosello napoletano, cercando lo sguardo degli altri senza farci accorgere, per capire quali fossero le loro emozioni e condividerle silenziosamente.
Siamo infine arrivati nella Sala della culla. Abbiamo tolto le cuffie e per la prima volta, poiché mai prima avevamo visto la proiezione ultimata, abbiamo ammirato le immagini che davano vita alle pareti della sala.
I costumi del San Carlo, i video delle opere liriche portate in scena, figurine danzanti, topolini, il Vesuvio, i quadri che prendono vita, teschi, le catacombe e infine i vicoli di Napoli.
Tutto raccontato attraverso musiche sempre diverse e in accordo con le immagini.
Ma quando sono comparsi i vicoli di Napoli, della città protagonista della nostra mostra, tutto si è fermato.
Ad accompagnare quelle immagini poetiche e ricche di vita era ancora lo Stabat Mater di Pergolesi.
Una musica struggente che si accordava perfettamente con il nostro stato d’animo pervaso di una dolce malinconia per essere arrivati all’ultimo atto di un lungo viaggio.
E allora, per quanto fossimo riusciti a trattenerci lungo tutto il percorso della mostra, come sul volto di Maria, anche sul nostro non è potuta che scendere una lacrima.
Scopri la mostra Napoli, Napoli. Di lava, porcellana e Musica
Il testo di Francesca Dal Lago è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”.
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