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L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… gli scarti di fabbrica della Manifattura di Capodimonte

Non tutte le ciambelle riescono col buco e non tutte le porcellane arrivano alla fine del complesso processo produttivo integre.

Frammenti, pezzi deformati durante la ‘cottura’ dell’impasto o rotti durante la lavorazione.

Scarti a tutti gli effetti, ma per noi, preziose testimonianze della Real Fabbrica di Capodimonte che re Carlo di Borbone fondò nel Real Bosco nel 1743 e sostenne fino al 1759 prima della della sua partenza per la Spagna.

Ce li presenta oggi la storica dell’arte Maria Rosaria Sansone del Dipartimento scientifico del Museo e Real Bosco di Capodimonte, per la rubrica “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”.

 

 

Gli Scarti della Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte (1743-1759), a differenza dei più fortunati esemplari in porcellana integri e riusciti, sono costituiti da frammenti di motivi decorativi, da tazze, piattini, gruppi plastici spesso deformati durante la cottura nelle fornaci, e per questo motivo gettati nel Settecento come materiale di scarto.

 

Manifattura di Capodimonte, scarti di fabbrica Napoli Museo e Real Bosco di Capodimonte @photo Amedeo Benestante

 

Tutti questi pezzi in porcellana sono stati ritrovati negli anni Cinquanta del Novecento in pozzi all’interno del Real Bosco di Capodimonte, nei pressi dellIstituto ad indirizzo raro Caselli-De Sanctis, cioè proprio a ridosso dell’edificio che nel Settecento ospitava la manifattura di Capodimonte, dove arcanisti, modellatori, intagliatori, tornitori, pittori, addetti alle fornaci, lavoravano con una precisa suddivisione dei compiti.

 

Istituto ad indirizzo raro “Caselli-De Sanctis” già Manifattura delle Porcellana di Capodimonte, Napoli, Real Bosco di Capodimonte

 

Oltre al luogo del ritrovamento, anche la presenza su numerosi frammenti del marchio di fabbrica, il giglio blu, rimanda direttamente alla manifattura avviata dal re di Napoli Carlo di Borbone (1734-1759).

 

 

Marca della Real Fabbrica di Porcellana di Capodimonte con giglio azzurro

 

“diede egli tutte le premure per subito introdurre ancor qui una fabbrica di porcellana tutta simile per quanto si potea a quella di Sassonia, e di tutta soddisfazione della regina Maria Amalia, che egli tanto amava (…). Fu la fabbrica situata nel Giardino del Real Palazzo acciò il re e la regina avessero il piacere di veder sotto gli occhi loro medesimi i lavori della nascente fabbrica.”

(Pietro D’Onofri, Elogio estemporaneo, Napoli 1789)

 

 

Manifattura di Capodimonte, scarti di fabbrica. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

 

Carlo di Borbone scelse un edificio all’interno del Bosco come sede per avviare nel 1743 sotto la sua protezione la Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte, che rappresentava per il re l’affermazione di un’eccellenza tecnica, tanto ambita nei più importanti Regni europei, e di uno status politico.

L’apprezzamento di Carlo per questa straordinaria materia si fa risalire al suo matrimonio nel 1738 con Maria Amalia di Sassonia (1724-1760) nipote di Augusto II detto il Forte (1670-1733), re di Polonia e principe elettore di Sassonia, fondatore a Meissen della prima fabbrica europea di porcellana (1710).

La regina Maria Amalia di Sassonia portò a Napoli in dote numerosi oggetti eseguiti nella fabbrica sassone che dovettero impressionare il giovane sposo.

Quando nel 1759 Carlo di Borbone partì per succedere al trono di Spagna, lasciando sul trono di Napoli il giovane figlio Ferdinando, tutte le manifatture reali da lui volute rimasero attive eccetto che quella della porcellana.

La sua passione per l’oro bianco di Sassonia lo spinse a fondare una nuova manifattura in Spagna, quella del Buen Retiro a Madrid, e a distruggere o a portare con sé da Napoli tutto ciò che si trovava in fabbrica, compresi numerosi artigiani e artisti che vi lavoravano.

 

Manifattura di Capodimonte, scarti di fabbrica. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte @photo Amedeo Benestante

 

Manifattura di Capodimonte, scarti di fabbrica. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

 

Un’importante testimonianza sulle difficoltà di preparazione dell’impasto “bianco e diafano” cui lavoravano nel Settecento gli ‘arcanisti’, cioè gli addetti alla ricerca dell’impasto, Livio Schepers e suo figlio Gaetano, è quella dello storico e archivista Camillo Minieri Riccio (1813-1882), che nel 1878 riporta, attraverso i documenti di fabbrica poi distrutti nell’ultimo conflitto mondiale, le notizie sulle deformazioni e rotture subite dagli oggetti nelle fornaci…

 

1744. Il Caselli… scrisse al Montealegreche nel prossimo lunedì Gaetano Schepers avrebbe incominciato a lavorare con la sua nuova composizione, ed egli sperava che non si usasse più quella di Livio suo padre, colla quale molti pezzi venivano imperfetti e facilmente si crepavano nella fornace.

(Camillo Minieri Riccio, Gli artefici ed i miniatori della R. Fabbrica di porcellana di Napoli, 1878)

 

 

Manifattura di Capodimonte, scarti di fabbrica. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte @photo Amedeo Benestante

 

Manifattura di Capodimonte, scarti di fabbrica. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

 

Gli scarti di fabbrica della Manifattura di Capodimonte, spesso in deposito sono stati esposti nella mostra Yeesookyung. Whisper Only  To You per il ciclo di mostre focus Incontri Sensibili.

 

Il testo di Maria Rosaria Sansone è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”.

 

Per la stessa rubrica puoi leggere:

 

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