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Incontri Sensibili

Christiane Löhr incontra Capodimonte
(26 settembre 2020 – 11 aprile 2021)

 

La mostra, a cura di Sylvain Bellenger e Laura Trisorio in collaborazione con la galleria Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, porta per la prima volta al museo l’opera dell’artista tedesca Christiane Löhr nell’ambito del ciclo Incontri sensibili, dialogo tra artisti contemporanei e collezione storica di Capodimonte.

L’esposizione si pone nel solco delle esposizioni Bourgeois e Guarino (26 marzo – 17 giugno 2017) e Jan Fabre. Naturalia e Mirabilia (1 luglio – 7 gennaio 2017), Incontri sensibili: Paolo La Motta guarda Capodimonte (30 giugno 2018 – 24 febbraio 2019), Jan Fabre. Oro rosso: sculture d’oro e corallo, disegni di sangue (30 marzo – 15 settembre 2019) sempre al secondo piano del museo, nella sala 82 che per questa mostra riapre la sua finestra sullo storico Belvedere.

La mostra Christiane Löhr incontra Capodimonte (26 settembre 2020 – 10 gennaio 2021), a cura di Sylvain Bellenger e Laura Trisorio, inaugura sabato 26 settembre alle ore 11.00 alla presenza dell’artista e dei curatori.

Il giorno precedente, venerdì 25 settembre alle ore 19.00, presso lo Studio Trisorio (via Riviera di Chiaia, 215) inaugura la mostra personale dell’artista (fino al 4 dicembre 2020).

 

 

La cultura è ciò che risponde a un uomo quando si chiede cosa fa sulla terra

André Malraux

Arte e Natura: le opere di Löhr e il dialogo con la collezione di Capodimonte

L’arte e la natura hanno avuto un’essenza comune fin da quando l’umanità ha cercato di rappresentare graficamente il mondo che la circonda.

Rappresentare il mondo è prima di tutto appropriarsene.

Nelle prime figurazioni, quelle dell’arte rupestre e dell’arte parietale della grotta di Chauvet o di Lascaux, la rappresentazione della natura significava prima di tutto la sua minaccia.

In essa riconosciamo la forza degli animali, oggetto dei primi terrori e delle grandi mitologie che hanno alimentato la sacralità delle religioni primitive e antiche e che il cristianesimo ha traslato negli animali fantastici dei bestiari del Medioevo, dove l’arte già non si limitava più a testimoniare il mondo, ma cambiava il nostro sguardo su di esso.

 

La storia del mondo vegetale ha una logica meno urgente perché meno minacciosa; le piante infatti, così come i paesaggi, non fanno parte dell’arte rupestre.

La conoscenza delle piante, come per tutte le scienze, proviene prima di tutto dal disegno.

La botanica nasce con la classificazione illustrata delle piante, strettamente legata all’erboristeria medica, dello svedese Von Linné, in italiano Carlo Linneo.

Ai disegni di botanica si deve la precisione analitica, ma anche l’esaltazione della bellezza dei fiori: è tangibile l’incanto che suscitano le rose di Pierre-Joseph Redouté o Fantin-Latour, o la meraviglia di una natura esuberante e felice come nei fiori bianchi e blu di Andrea Belvedere che difficilmente chiameremmo Natura Morta, tanto la nostra sensibilità ritrova l’esaltazione della composizione, quel momento vivo e quella luce che gli impressionisti faranno oggetto dei loro dipinti.

 

Christiane Löhr sposta le linee di questa storia. Le sue installazioni, le sculture, i disegni, sono composti con materiali organici, quelli della natura che la circonda: il crine di cavallo, il pelo animale, il seme, il filo d’erba.

Sono opere disegnate con gli elementi della natura, la cui armonia scultorea, quasi coreografica e musicale, sembra restituire il ritmo spontaneo del mondo organico. Ma non illudetevi, l’arte che raggiunge questo livello di naturalezza è sempre frutto di un lavoro di grande rigore.

Come per Andrea Belvedere, pittore di un’altra epoca, esponente del barocco napoletano, anche per la Löhr la natura è viva e dalle sue composizioni emana una forza vitale, certamente spensierata ma anche allarmante, quella di un’altra forma di pericolo derivato dalla fragilità della materia.

 

La nostra crescente consapevolezza della preoccupante fragilità della natura è stata accelerata dalla pandemia – afferma il direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, Sylvain Bellenger. Da tempo il rapporto con la percezione dei pericoli si è invertito e l’uomo ha meno bisogno di difendersi dalla natura che di difendere la natura da sé stesso.

È questo anche il messaggio politico che scaturisce dalla delicata estetica di Christiane Löhr? Spetta all’artista, ma soprattutto al pubblico decidere, perché, infine, è il pubblico che delineerà la storia.

Per questa mostra, dove la sua opera incontra un dipinto di Andrea Belvedere, la Löhr ha chiesto che fosse utilizzata la luce naturale. Abbiamo così riaperto la finestra solitamente chiusa della sala “Incontri sensibili” e il caso ha voluto che si aprisse sul meraviglioso Belvedere di Capodimonte – continua il direttore Bellenger.

Un’altra casualità, una di quelle che fanno della storia un destino, è la presenza, a pochi metri di distanza, della “sala Kounellis“. Così, dopo molti anni, l’allieva e il maestro si incontrano di nuovo e si comprende quanto le loro installazioni rivelino gli stessi misteri, quelli che non lasciano nulla al caso e oscillano tra esigenze estetiche e pensiero politico.

Le grandi opere aprono sempre un aldilà che si rafforza con il tempo.

Christiane Löhr vive e lavora a Prato e Colonia.

 

Il suo lavoro nasce dal contatto diretto con la natura nella quale trova gli elementi e i segni del suo linguaggio espressivo: i semi di diverse piante, come cardi, edera, bardane, che diventano i materiali per sculture di piccole dimensioni; oppure i crini di cavallo che utilizza per realizzare la trama dei suoi “disegni” tridimensionali, esili tessiture a tutto tondo, installazioni impalpabili che possono stare nel palmo di una mano o anche occupare grandi ambienti.

 

 

L’artista è guidata dalla stessa geometria interna dei suoi materiali, così da realizzare architetture fluttuanti, sorprendentemente leggere e fragili, ma al tempo stesso forti e solide, che rivelano il suo interesse sperimentale per lo spazio e insieme un’attenzione costante al mondo intimo e segreto delle cose.

Superficie e spazio sono i temi principali dei suoi disegni. Le sue strutture lineari “crescono” da un punto della parte inferiore della pagina al bordo superiore, e sviluppano quello che lei definisce un “flusso in uscita, dall’interno verso l’esterno”.

 

Otticamente sembra che possano crescere all’infinito e conquistare la stanza.

 

 

Foto Giovanna Garraffa

Foto Andrea Benestante

Il dipinto di Capodimonte: Andrea Belvedere, Ipomee e boules de neige sull’acqua

Andrea Belvedere (1652 ca. – 1732)
Ipomee e boules de neige sull’acqua 1680-1690 ca.
olio su tela, 97 x 74 cm, inv. Q 252
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

Il dipinto è entrato  nelle raccolte museali negli anni Settanta dell’Ottocento e si trovava in origine nelle collezioni del famoso filosofo e giurista napoletano Giuseppe Valletta (1634-1714), tra i fondatori a Napoli dell’Accademia di carattere scientifico e filosofico degli Investiganti (1650), nonché amico del pittore.

Il biografo napoletano Bernardo De Dominici (1683-1750) descrive l’opera in casa Valletta come la più lodata dai pittori e dagli intenditori forestieri, probabilmente proprio per la forza poetica che tanto dovette impressionare i contemporanei.

Dati gli interessi botanici di Giuseppe Valletta, probabilmente è stato lui a commissionare all’artista il dipinto e a suggerirne il soggetto, dato che i fiori di sambuco e i semi di ipomee erano conosciuti fin dall’antichità ed usati in medicina per le loro qualità medicamentose.

 

A un ramo di sambuco con efflorescenze bianche, le boules de neige, sono intrecciati tralci di campanelle, le ipomee blu.

Incastrato a un tronco, il ramo, spezzato, è sospeso a mezz’aria e lambisce uno specchio d’acqua.

Scegliendo apparentemente un motivo semplice, Belvedere cattura un momento ‘effimero’, fuggevole: all’imbrunire del giorno, come suggerisce lo scorcio di cielo che si intravede sullo sfondo, la messa a fuoco dell’immagine è su quel ramo fiorito “che rievoca dall’ombra notturna i suoi corimbi, e pende, stroncato, appesantito, sopra uno specchio d’acqua abbrunato, ove scivola il calice riverso d’una campanula divelta” (De Rinaldis 1928).

 

L’opera è stata realizzata intorno agli agli Ottanta del Seicento, nella fase centrale dell’attività del pittore, quando l’attenzione alla produzione dei grandi ‘fioranti’, come Giovan Battista Ruoppolo (1629-1693), Giuseppe Recco (1634-1695), Paolo Porpora (1617-1673), Abraham Breughel (1631-1697) e Mario dei Fiori (1603-1673) si aggiorna alle nuove soluzioni del genere europeo.

Trasferitosi in Spagna nel 1694 chiamato dal re Carlo II (1661-1700), al suo ritorno a Napoli, nel 1700, Belvedere abbandona la pittura per dedicarsi all’attività teatrale.

 

Christiane Löhr è nata nel 1965 a Wiesbaden e vive e lavora tra Köln e Prato. Ha studiato con Jannis Kounellis alla Kunstakademie di Düsseldorf.
Nel 2016 è stata insignita del XIX premio Premio Pino Pascali e la Kunsthaus Baselland di Basel le ha dedicato un’importante mostra personale.
Ha esposto in numerosi spazi pubblici e privati: Jason MacCoy Gallery, New York; Villa e Collezione Panza, Varese; MART Rovereto; Museum of Arts and Design, New York; Museum Wiesbaden; Fundació Pilar i Joan Miró, Palma de Mallorca; Kunsthalle Bern; Kunstmuseum Bonn; Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice; Vangi Sculpture Garden Museum, Shizuoka; Fattoria di Celle, Collezione Gori, Pistoia. Ha partecipato a mostre collettive in importanti gallerie e musei in Italia e all’estero: 49° Biennale di Venezia (2001); Terre vulnerabili, Hangar Bicocca, Milano (2010); Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell’arte italiana contemporanea, MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna (2013); The Human Condition, National Centre for Contemporary Arts NCCA, Mosca (2015).
Nel 2018, lo scultore Tony Cragg l’ha invitata a realizzare una mostra presso lo Skulpturenpark Waldfrieden da lui fondato a Wuppertal.
Nell’estate 2020 la casa editrice Hatje Cantz di Berlino ha pubblicato un’ampia monografia su Christiane Löhr e in ottobre un suo lavoro permanente sarà installato nella chiesa di San Fedele a Milano.

In collaborazione con Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea

 

Progetto di

Sylvain Bellenger, Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte

Laura Trisorio, Studio Trisorio

 

Allestimento

Rosa Romano

 

Coordinamento

Francesca Dal Lago

 

Coordinamento opere d’arte

Maria Rosaria Sansone

 

Ufficio Stampa

Luisa Maradei

 

Sito web

Marina Morra

 

Social media e cerimoniale

Giovanna Garraffa

 

Ufficio Mostre

Patrizia Piscitello

Giovanna Bile

Concetta Capasso

 

Traduzioni

Claire Van Cleave

 

Progettazione e Realizzazione Grafica

NMK Srl

 

Produzione Stampa

Mef Sas

 

Movimentazioni

F.lli Bevilacqua Sas

 

Con la collaborazione dell’Associazione Amici di Capodimonte Onlus

Presidente

Errico di Lorenzo

Responsabile attività e coordinamento

Stefania Albinni

 

Si ringraziano per la collaborazione

Luciana Berti

Simonetta Funel

Carmine Romano

Antonio Tosini

Alessandra Zaccagnini

 

Si ringrazia tutto il personale del

Museo e Real Bosco di Capodimonte

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